martedì 10 marzo 2009

I miei Vescovi

Un lettore bolognese, ex-alunno dei due collegi dove ho insegnato (la Querce di Firenze e il San Luigi di Bologna), si è rallegrato nel constatare la mia ammirazione per il Card. Giacomo Biffi, per vent'anni Arcivescovo della sua città (1984-2003). Beh, per me il Card. Biffi è sempre stato e continua a essere un importante punto di riferimento. È stato mio Vescovo durante i miei due soggiorni bolognesi (1985-89 e 1999-2000). Il caro ex-alunno, ritrovato dopo tanti anni grazie a Facebook, mi ha dato lo spunto per questo post sui "miei" Vescovi. In quasi trent'anni di sacerdozio, in fondo, ho avuto solo tre Vescovi (non considerando i Papi, anche loro miei Vescovi, perché Vescovi di Roma). E, devo dire, uno meglio dell'altro.

Il mio primo Vescovo è stato il Card. Silvano Piovanelli, Arcivescovo di Firenze dal 1983 al 2001. Un vero pastore: cordiale, affabile, attento verso tutti, sempre disponibile. Una volta riuscii ad arrivare nel suo studio inosservato, senza neppure passare attraverso il segretario. Pensate che ogni anno, nei giorni precedenti al Natale, veniva a celebrare la Messa per noi alla Querce. In una di quelle occasioni, appena nominato rettore, lo accolsi con un indirizzo di saluto un tantino impertinente, al termine del quale mi abbracciò pubblicamente: un vero padre! Passava per essere "di sinistra" (sappiamo il valore di tali etichette), ma era aperto a qualsiasi tipo di esperienza ecclesiale. Fu lui ad accogliere in diocesi l'Istituto di Cristo Re Sommo ed Eterno Sacerdote, affidando loro la Villa di Gricigliano. Mi incoraggiò ad aprire un gruppo di Scouts d'Europa, quando una cosa del genere appariva ai piú come una specie di scisma lefebvriano. Aveva chiesto che il nostro gruppo entrasse a far parte della Consulta dei laici, ma poi fu costretto a fare marcia indietro a causa dell'opposizione dell'AGESCI (lo capisco, poveretto: anche lui "teneva famiglia..."). Nonostante ciò, continuò sempre a sostenerci. Quando mi congedai da lui, nel 1999, mi ringraziò per la testimonianza di fedeltà alla Chiesa. Non poteva farmi complimento migliore.

Il mio secondo Vescovo è stato, appunto, il Card. Giacomo Biffi. Un tipo completamente diverso: molto piú riservato, apparentemente freddo, distaccato. Non era facile avere un appuntamento. Un grande teologo, un maestro, direi pure un "dottore". Era un piacere sentirlo parlare: durante le omelie (in genere molto brevi, ma incisive) si rimaneva lí a bocca aperta, non si perdeva una parola. Non si lasciava mai sfuggire l'occasione per una battuta. Con lui ebbi una volta un momento di tensione: volendo aprire anche a Bologna un gruppo di Scouts d'Europa, mi rivolsi a lui fiducioso (passava per essere "di destra"), ma ne ricevetti un secco no. "Vede, Padre — mi disse — voi religiosi oggi ci siete e domani siete da un'altra parte. Non si può iniziare un gruppo che rischierebbe poi di essere abbandonato". Aveva perfettamente ragione: di lí a poco fui trasferito.

Il mio attuale Vescovo è Mons. Luis Antonio Tagle, Vescovo di Imus. Non è ancora Cardinale, ma presto lo diventerà. È in pole position per la sede di Manila (dove il Card. Rosales ha già superato i 75 anni); ma non è escluso anche qualche incarico romano (da sacerdote è stato già membro della Commissione teologica internazionale, allora guidata da Ratzinger, e ora è membro del Consiglio permanente del Sinodo dei Vescovi). È uno dei teologi piú quotati in Asia (pare che sia lui l'estensore dell'esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Asia); ma è pure un grande pastore: anche lui sempre disponibile e conteso da parrocchie e istituti. Deve farsi in quattro per attendere ai numerosi impegni a livello diocesano, nazionale e internazionale (lo scorso anno, per esempio, è passato dalla Giornata mondiale della gioventú in Australia al Congresso eucaristico internazionale in Canada al Sinodo dei Vescovi a Roma). Tutti lo vogliono e tutti gli vogliono un gran bene. Quando parla, anche lui è sempre molto profondo, brillante e spiritoso. Sfugge a certi canoni tradizionali (non l'ho mai visto in talare), ma non si può dubitare della sua ortodossia (ex-alunno dell'Ateneo de Manila, gli fu chiesto come mai non si fosse fatto gesuita; rispose: "Perché volevo essere un prete cattolico!").

E poi ci sono altri tre Vescovi, in questo caso miei confratelli, perché appartenenti al mio stesso Ordine religioso (i Barnabiti). Innanzi tutto il Servo di Dio Mons. Eliseo Coroli, Vescovo missionario in Brasile ("Prelato del Guamà"), fondatore delle Missionarie di Santa Teresina. È stato colui che mi ha ordinato diacono. Era davvero un santo! Il suo chiodo fisso era la gioia: volle che le sue suore facessero un quarto voto: l'apostolato della gioia. Un giorno fu ricevuto da Paolo VI; pochi giorni dopo il Papa pubblicò l'esortazione apostolica Gaudete in Domino, e dichiarò pubblicamente che gliela aveva ispirata un Vescovo missionario. Anche durante l'ordinazione diaconale, l'unica cosa che ci raccomandò, all'abbraccio di pace, fu di essere sempre portatori di gioia. Era di una semplicità e una povertà disarmanti. Il giorno dell'ordinazione, siccome portava sempre la sua umile veste nera barnabitica (anche sotto il sole equatoriale), pensammo bene di bardarlo a dovere con tutti i paramenti pontificali, e lui, con grande umiltà, ci lasciò fare. Ma ci sfuggí un particolare: durante l'omelia, seduto al faldistorio dinanzi all'altare, ci accorgemmo che non portava le scarpe, ma un semplice paio di sandali, dai quali risaltava un bel paio di calze nere... bucate. È in corso la sua causa di beatificazione. Speriamo di vederlo presto sugli altari.

Il Vescovo che mi ha ordinato sacerdote è stato invece Mons. Placido Cambiaghi, come si diceva allora, "Vescovo già di Novara" (guai a chi anteponeva quel "già" a "Vescovo"!). Era un grande uomo: dopo essere stato rettore alla Querce di Firenze e al Carlo Alberto di Moncalieri, era diventato maestro degli studenti e assistente generale e quindi nominato Vescovo, di Crema prima e poi di Novara. Purtroppo, nel 1971 era stato costretto a dare le dimissioni per motivi di salute; ma poi visse a lungo: morí nel 1987, quasi novantenne. Aveva una grande apertura mentale (quando divenne maestro degli studenti, volle che potessero frequentare le pontificie università romane, anziché la scuola interna di teologia). Magari era un po' burbero, ma aveva un cuore grande. Quando dovevo essere ordinato sacerdote, essendo da solo (i miei compagni sarebbero stati ordinati nei loro rispettivi paesi), pensai di chiedere di essere ordinato dal Papa, che aveva introdotto questa nuova prassi delle ordinazioni sacerdotali annuali. Ma poi, proprio quell'anno, il 13 maggio ci fu l'attentato. L'ordinazione era fissata per il mese di giugno. Si trattava di trovare un altro Vescovo. Mi rivolsi a lui. Se l'era già presa un po' perché l'anno precedente, per il diaconato, ci eravamo rivolti a Mons. Coroli. Ora, quando gli chiesi se poteva ordinarmi, mi rispose: "Ah, no, no. Cércati qualche altro Vescovo. Vai dal Card. Poletti o da chi vuoi". "Ma Eccellenza — risposi — io desideravo essere ordinato dal Papa, perché il Papa è il Papa. Ma dopo il Papa, per me c'è solo Lei" (ed era vero). "Beh, beh, se è cosí, allora..." Poi se la prese, perché sull'immaginetta sotto il nome non avevo scritto: "Sacerdote barnabita", ma, forse con un pizzico di civetteria, un semplice "prete" (per imitare il nostro fondatore Antonio Maria Zaccaria). Ebbene la sua omelia durante il rito di ordinazione fu in due punti: "sacerdote" e "barnabita"! I suoi preti gli volevano un bene immenso e gli rimasero affezionati fino alla fine.

Infine c'è Mons. Andrea Maria Erba, Vescovo emerito di Velletri-Segni, la diocesi di cui era titolare il Card. Joseph Ratzinger. Per questo, lo scorso 18 febbraio, nel ricevere il pellegrinaggio organizzato dai Barnabiti in occasione dell'Anno Paolino, Benedetto XVI ha detto: "Vedo il mio Vescovo di Velletri, Monsignor Erba, con cui per tanti anni ho condiviso l'esperienza pastorale di Velletri". Era stato proprio Mons. Erba, il giorno dell'insediamento, a giurare fedeltà al nuovo Pontefice a nome di tutto l'episcopato. Perché lo considero fra i miei Vescovi? Perché è stato per alcuni anni mio maestro di studentato, poi divenne parroco della mia parrocchia di origine (San Carlo ai Catinari); era parroco quando morí la mia mamma e quando si sposò mio fratello; da Vescovo battezzò le mie nipotine. Insomma uno "di casa". E "di casa" è stato, credo, con tutti i fedeli (preti, religiose e laici) della sua diocesi. Tutti gli volevano e continuano a volergli bene. Anche di lui ammiro l'apertura mentale: pronto ad accogliere e a valorizzare in diocesi qualsiasi esperienza spirituale, religiosa o pastorale.

Una caratteristica, questa, che ritrovo in tutti i "miei" Vescovi. Veri pastori, perché padri di tutti. Questi sono i Vescovi che mi piacciono. Oggi è molto comune ingabbiare le diocesi in piani pastorali astratti, scritti a tavolino; si impone a tutti di adeguarsi a tali piani e, se qualcuno non lo fa, resta escluso dalla comunione ecclesiale. Certi Vescovi, anziché servitori delle loro Chiese, ne appaiono piuttosto i padroni. Loro invece, i miei Vescovi, sono sempre stati attenti all'azione dello Spirito nella Chiesa, pronti a discernere e a riconoscere l'opera della grazia. Si sono sempre sforzati di seguire le parole dell'Apostolo: "Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie, esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono" (1 Ts 5:19-21).