domenica 22 marzo 2009

IV domenica di Quaresima ("Laetare")

Domenica scorsa eravamo invitati a volgere lo sguardo al Signore ("Oculi mei ad Dominum"); oggi siamo invitati a gioire ("Laetare, Jerusalem"). Perché dovremmo rallegrarci nel bel mezzo della Quaresima, quando un contegno, se non di mestizia, perlomeno di gravità sembrerebbe molto piú confacente? Troviamo la risposta a questa domanda nel Vangelo:

"Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, cosí bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna" (Gv 3:14-15).

Gesú si sta referendo all'episodio del deserto, quando gli Israeliti furono puniti per la loro infedeltà con l'invio di serpenti velenosi: l'unica salvezza per loro stava nel volgere lo sguardo al serpente di rame posto in cima a un'asta (= "innalzato") da Mosè (Nm 21:4-9). Gesú vede in quell'episodio la prefigurazione di un altro "innalzamento", la sua "esaltazione" sulla croce. Anche in questo caso bisognerà volgere lo sguardo a lui (= "credere in lui") per ottenere la salvezza.

Ecco ciò di cui dobbiamo rallegrarci: della croce di Cristo. Ma come? Non è forse la croce uno strumento di morte? Dobbiamo gioire di uno strumento di morte? È come dire: rallegriamoci della forca, della ghigliottina, della camera a gas, della sedia elettrica! Sí, ma la croce non è solo strumento di morte; essa è anche strumento di salvezza. Come è possibile? Ce lo spiega l'evengelista Giovanni:

"Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Gv 3:16).

La croce è strumento di salvezza, perché è espressione di amore. Gesú non è morto sulla croce, perché i suoi nemici sono stati piú forti di lui e lo hanno fatto fuori; ma perché Dio ha dato il suo Figlio unigenito; e ha fatto questo perché ha tanto amato il mondo, e non ha voluto che rimanesse nella morte; ma, mediante la fede in quel suo Figlio unigenito, potesse avere la vita eterna. Paolo commenta:

"Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati" (Ef 2:4-5).

La salvezza è un atto totalmente gratuito di Dio: non possiamo rivendicare alcun merito: eravamo morti per i peccati; Dio, ricco di misericordia, ci ha fatti rivivere con Cristo. Grazia, e solo grazia.

"Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesú per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo" (Ef 2:8-10).

La salvezza è dono gratuito di Dio, non è una nostra conquista. La si riceve, non la si guadagna. L'unica condizione per accogliere tale dono è la fede ("... perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna"). Per ottenere la salvezza, le opere non servono a nulla. Nondimeno, siamo chiamati a praticarle: non per "comprarci" la salvezza, ma per manifestare con esse la nostra gioia a la nostra gratitudine a Dio per il suo immeritato dono. Le opere buone non sono lo strumento della salvezza, ma il suo scopo.

"Chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono fatte in Dio" (Gv 3:21).