domenica 17 maggio 2009

VI domenica di Pasqua ("Vocem jucunditatis")

Mi pare che ci sia una specie di "filo rosso" che collega le tre letture della liturgia odierna: il primato dell'iniziativa divina. Leggiamo nel vangelo:

«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi».

Spesso, specialmente quando siamo impegnati in una vita di speciale consacrazione, pensiamo che questo sia il risultato di una nostra scelta, di una nostra decisione. E invece Gesú ci ricorda che la scelta è stata sua: è lui che ci ha voluti per sé; noi non abbiamo fatto altro che rispondere alla sua chiamata.

Giovanni, nella seconda lettura, ci rammenta una verità ancora piú importante. Affetti come siamo da una mentalità legalistica e pieni di zelo nel voler osservare il "primo di tutti i comandamenti" ("Amerai il Signore tuo Dio..."), spesso ci dimentichiamo che:

«In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi».

È lui che ci ha amati per primo; il nostro amore è solo la risposta — assolutamente inadeguata — al suo infinito amore per noi. È una pura illusione pensare di poter amare Dio, se lui non ci avesse amati per primo.

Anche nella prima lettura si parla di iniziativa divina. Chi ha deciso che a un certo punto si dovesse cominciare a evangelizzare i pagani? È stata la personale iniziativa di Pietro? È stata la collegiale decisione di un concilio? È stata semplicemente la volontà di Dio:

«Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola ... Allora Pietro disse: "Chi può impedire che siano battezzati nell'acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?"».

La decisione di Pietro e, successivamente, la discussione di un concilio ci sono pur state; ma sono state solo il discernimento della volontà divina. Gli apostoli non hanno fatto altro che "arrendersi" di fronte all'evidenza soprannaturale.

È Dio, dunque, a prendere sempre l'iniziativa. Noi non dobbiamo fare altro che rispondere all'azione divina. Eppure, Pietro intuisce che la parte dell'uomo non è solo successiva all'iniziativa di Dio: è necessario che ci sia, nell'uomo, una qualche "predisposizione", che permetta a Dio di agire (Dio non forza mai la nostra libera volontà):

«In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga».

Dio non fa discriminazioni; per lui siamo tutti uguali. Ma lui "accoglie chi lo teme e pratica la giustizia". Ci sono delle "condizioni" per essere ben accetti a Dio: il suo timore e la pratica della giustizia. Chi si trova in tale condizione (di per sé insufficiente a procurare la salvezza), è "aperto" all'azione di Dio; permette a Dio di salvarlo. Chi teme il Signore farà l'esperienza del suo amore.