martedì 27 ottobre 2009

Ecumenismo ed ecumenismo #2

Ricevo da David la seguente, come al solito interessante, testimonianza:


«Ho letto con grande interesse i tuoi articoli sull’ecumenismo, seguendo con attenzione il modo, molto realistico e insieme rispettoso, con cui Benedetto XVI e il cardinale Levada hanno gestito il caso degli anglicani dell’High Church che sono tornati nella Chiesa universale. Le due storie trovano un elemento unificante in questa vicenda che mi appresto a raccontarti e che credo abbia molto da insegnare ai “professionisti dell’ecumenismo”.

Lucrezia Tudor è una signora, oggi di 77 anni, che vive a Pesceana, nella Transilvania. Madre di Mariano, 38 anni, pittore di icone affermato, e di Victor, 43 anni, un sacerdote ortodosso. La storia ha inizio nel dicembre 2002, quando alla donna viene diagnosticato un cancro al polmone che ha già disseminato tutto l’organismo di metastasi. La diagnosi medica è seguita da una raccomandazione amichevole e rassegnata: “Torni dai suoi figli e cerchi di vivere serenamente gli ultimi mesi di vita”. Padre, solo chi ha o ha avuto un malato di cancro in fase avanzata in casa sa che questa malattia, lungi dall’essere incurabile in fase primitiva, quando progredisce è imprevedibile e se si diffonde parecchio lascia davvero poche speranze di vita. Lucrezia non si perde d’animo e raggiunge Mariano a Roma, dove lui vive facendo il pittore e il restauratore. A Roma si sottopone a nuovi controlli che, purtroppo, confermano la diagnosi dei medici romeni. La donna, intanto, si imbatte in una statua di Padre Pio in una chiesetta di Guidonia, in cui il figlio sta lavorando al restauro di alcuni mosaici, e passa intere ore seduta davanti a quel frate con le stigmate: immagino che abbia chiesto di lui. Pare di vedere la Samaritana che parla col Signore senza averlo mai conosciuto... Non so che cosa gli abbia detto, ma fatto sta che al ritorno in Romania le sue condizioni cominciano a migliorare, tanto che viene sottoposta a nuovi controlli, dai quali risulta la guarigione. Completa. Non era stato forse Padre Pio a dire che dopo morto avrebbe fatto “ancora piú danno”? Il miracolo è solo l’inizio, non la fine della storia! Lasciamo parlare Victor: “I medici sono rimasti stupiti davanti alla sua guarigione e poco a poco si è manifestato un grande entusiasmo fra la mia gente: siamo stati testimoni di altri miracoli, di altre donne malate e guarite all’improvviso”. E ancora: “Siamo rimasti stupiti per primi... Mia madre pur essendo ortodossa, si è affidata molto a Padre Pio: quel che mi ha colpito è stata la sua fiducia. Fatico ancora a raccontare la sua storia, eppure mi rendo conto che è un incoraggiamento a sperare sempre”.

Passano gli anni e la goccia scava la roccia: se, secondo il Signore, è piú facile guarire il corpo che perdonare i peccati, allora veramente la riunificazione delle Chiese può essere solo opera sua, non della diplomazia... Infatti, nel giro di pochi anni l’intera comunità — e non solo! — chiede di passare nella Chiesa cattolica. Non oso dire che si convertono, perché le due Chiese, cattolica e ortodossa, sono perfettamente innestate nella successione apostolica. In ogni modo, la situazione non è semplice: Roma è forse piú imbarazzata di Bucarest, dato che si tratta non di singole persone, ma di un’intera comunità col sacerdote, padre Victor. Non sono nemmeno come gli anglicani, dei cristiani di fatto staccati dalla successione, che chiedono di tornare nell’Unico Ovile. Né vivono in paesi multiconfessionali, come Stati Uniti e Australia: sono innestati nel cuore della ortodossa Romania. Fatto sta che per quasi cinque anni il caso non diventa di dominio pubblico sulla stampa. Per fortuna, esiste il rito greco-cattolico e ci sono le strutture giuridiche in cui inserire questi nuovi fratelli. Ma quante esitazioni! La comunità locale, non si perde d’animo e comincia addirittura a costruire un santuario per il santo con le stigmate, inaugurato un anno fa.

Caro Padre, che cosa vuol significare questa storia? Quando si ha modo di intrattenersi con gli ortodossi dell’Est europeo si ha l’impressione che la territorialità sia spesso una scusa per coprire la mancanza di apostolato e una fede che la grandissima parte dei fedeli sperimentano solo a Pasqua. Confessione e comunione frequenti, assiduità alla messa domenicale, adorazione eucaristica, preghiera comunitaria, gruppi di preghiera, apostolato dei fedeli laici ecc. non esistono e non potrebbero esistere dove l’Ortodossia è maggioritaria: i fratelli dell’Est sono come eravamo noi mille anni fa, loro non hanno conosciuto Gregorio VII e San Pier Damiani, San Domenico e San Francesco (venerano comunque il santo umbro e gli dipingono icone!), Sant’Ignazio e Don Bosco, la Riforma e la Controriforma, l’Illuminismo e il Positivismo... Questa immobilità esalta la solennità dei riti e la grandezza della vita monastica, ma pare sempre piú inadatta a affrontare le sfide sociali e culturali del nostro tempo... Le prime dichiarazioni di Cirillo sulla necessità di affrontare il presente e il futuro dialogando con la Chiesa cattolica, invece che scontrandocisi, paiono confermare che la dura politica di Alessio II verso il papa polacco non era solo dettata dalla rivalità tutta slava fra Mosca e Varsavia, anche perché il patriarca di Mosca era di origini tedesche, non slavo; era piuttosto segno di debolezza, per l’incapacità dell’Ortodossia di reggere il confronto diretto con la Chiesa di Roma. Potrei raccontarti tante storie di sacerdoti ortodossi che vivono grazie agli aiuti della Catholica nello sterminato territorio dell’ex URSS, sulle preghiere negate da monaci ortodossi ai malati che non possono pagare il “servizio”, sull’odio verso gli uniati o delle accuse di “comprare” conversioni al cattolicesimo... Tutto conferma che l’Ortodossia è in una fase di debolezza e che appoggiarsi alle autorità statali serve solo come stampella... Se l’incontro a Minsk fra Benedetto e Cirillo ci sarà, non sarà per quarant’anni di sforzi ecumenici, ma perché a Est non si può fare a meno di cercare accordi diplomatici con Roma grazie ai quali arrestare la Cattolicità greca e romana alle porte di Mosca.

Sarà anche per questo che Padre Pio “fa danno” in mezzo alla seconda comunità ortodossa del mondo, quella romena, per indicarci che la soluzione è nella diffusione del Cattolicesimo di rito bizantino e che nelle trattative non si deve perdere di vista che noi siamo dalla parte del vero e del giusto?».


Non posso né confermare né contraddire le affermazioni di David, perché non ho alcuna esperienza diretta del mondo ortodosso; ma mi fa piacere sentire quel che lui dice, perché conferma l’impressione che ne avevo avuto da altre testimonianze. Non ho alcuna difficoltà ad ammettere che il rigido atteggiamento dell’Ortodossia nei confronti della Chiesa cattolica non sia altro che un segno di debolezza. Io ho sempre interpretato in questo modo anche l’intolleranza praticata verso i cristiani dai fondamentalisti islamici o indú. In questi anni che ho vissuto lontano dall’Italia mi sono reso conto che la Chiesa cattolica, per quanto noi ci lamentiamo (qualche volta, ma non sempre, a ragione), ha una vitalità che non si ritrova in alcun’altra confessione religiosa.

Questa vitalità, gli ortodossi la chiamano “proselitismo”; e sperano in tal modo di esorcizzarla. Probabilmente, anziché preoccuparsi di rendere inoffensivo il cattolicesimo, farebbero meglio a unire le forze nell’unica battaglia contro la secolarizzazione dilagante.

Ciò significa che “noi siamo dalla parte del vero e del giusto?”, come chiede David? Mah, certo, che la Chiesa cattolica sia l’unica vera Chiesa, è un dato di fatto. Ma ciò non significa che gli ortodossi non siano “cattolici” (anche loro professano nel Credo la “Chiesa una santa cattolica e apostolica”). L’unico problema esistente nel loro caso è che non vivono nella piena comunione col Romano Pontefice e quindi con la Chiesa universale. Il che non è poco; ma non è neanche quell’abisso che ci separa dalle comunità protestanti e ora, dopo l’introduzione del sacerdozio alle donne, dalla Chiesa anglicana.

Si deve parlare di “conversione” nel caso degli ortodossi? Direi proprio di no. Anche nel passato si preferiva usare l’espressione: “ritorno all’unità cattolica”. Oggi diremmo meglio: “ristabilimento della piena comunione”. Giacché di questo si tratta: di vivere in comunione. Gli ortodossi non devono cambiare nulla nella loro fede; non devono cambiare nulla neppure nelle loro tradizioni; devono solo accettare il primato del Romano Pontefice. A quanto pare, nel recente incontro di Cipro, tutti hanno convenuto che non si tratta solo di un primato onorifico, ma di qualcos’altro. Che cosa? Beh, noi cattolici abbiamo pronta la risposta (“primato di giurisdizione”), ma forse dovremmo fare un piccolo sforzo per interpretare correttamente tale affermazione, presentarla in maniera che possa essere accettata da tutti e, soprattutto, esercitare tale primato in maniera che esso si concili con la tradizione sinodale delle Chiese orientali e con le necessità dei tempi. Quindi, noi cattolici non possiamo solo stare a guardare e aspettare che gli ortodossi ritornino a noi; ma dobbiamo fare da entrambe le parti uno sforzo per venirci incontro reciprocamente. Per questo, sono convinto che i colloqui in corso non siano del tutto inutili.

Ma sono altrettanto convinto che, da soli, tali colloqui non sono sufficienti. L’unità è dono di Dio. E Dio si serve dei suoi strumenti per realizzarla: per esempio, la Madonna (il conte russo, divenuto cattolico e sacerdote barnabita, Agostino Šuvalov e il suo confratello Cesare Tondini de’ Quarenghi erano convinti che il “ritorno” della Chiesa russa sarebbe stato opera della Vergine: c’è una profezia secondo cui un giorno, sulla Piazza Rossa, verrà innalzata la statua dell’Immacolata) o... Padre Pio. Quanto racconta David è la riprova che il rinnovamento della Chiesa non è il risultato di una umana pianificazione, ma frutto imprevedibile della grazia.