domenica 21 aprile 2013

A proposito di riforme


Una settimana fa, il 13 aprile, la Segreteria di Stato ha diffuso un comunicato con cui si informava che «il Santo Padre Francesco, riprendendo un suggerimento emerso nel corso delle Congregazioni Generali precedenti il Conclave, ha costituito un gruppo di Cardinali per consigliarLo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della Costituzione Apostolica Pastor bonus sulla Curia Romana». Il comunicato rendeva quindi noti i nomi degli otto Cardinali membri di tale gruppo, il nome del Vescovo che svolgerà le funzioni di Segretario e la data della prima riunione collettiva.

I mezzi di comunicazione hanno dato notevole rilievo alla notizia: alcuni l’hanno voluta accostare alla recente nomina di una commissione di “saggi” da parte del Presidente Napolitano; altri hanno parlato di prima realizzazione della tanto auspicata “collegialità” all’interno della Chiesa cattolica. Effettivamente il comunicato della Segreteria di Stato dà adito sia all’una che all’altra interpretazione, dal momento che in esso si indicano due diverse finalità del gruppo: da una parte si dice che esso dovrà consigliare il Papa nel governo della Chiesa universale, dall’altra si afferma che esso dovrà studiare un progetto di revisione della Curia Romana.

Personalmente, ritengo che si tratti di due questioni piuttosto diverse tra loro e che, probabilmente, sarebbe stato meglio mantenere distinte. Un conto è riformare la Curia Romana, per la qual cosa può essere utile la costituzione di una commissione temporanea, che svolga il suo lavoro, sottoponga i risultati al Santo Padre e poi si sciolga, come è avvenuto in tante altre occasioni. A tale scopo, mi sembra che potrebbero andare benissimo gli otto Cardinali che sono stati nominati. L’unica perplessità potrebbe venire dal fatto che, fra loro, uno solo provenga della Curia: gli altri che ne sanno? Però si potrebbe obiettare che, in questo momento, proprio di questo c’è bisogno: di un intervento esterno che modifichi radicalmente i meccanismi che hanno regolato finora il funzionamento della Curia. Ma su questo punto non vorrei dilungarmi ulteriormente, sia perché io stesso non conosco certi meccanismi, sia perché, onestamente, la cosa non mi interessa piú di tanto.

Mentre sono piú interessato all’altro aspetto, quello del governo della Chiesa universale. Il comunicato della Segreteria di Stato afferma che il gruppo degli otto Cardinali dovrà consigliare il Papa nel governo della Chiesa universale. Che significa esattamente? Se si trattasse, anche in questo caso, di studiare il modo di rendere piú collegiale il governo della Chiesa, non ci sarebbe problema. Ma non sembra che sia questo il caso: nel comunicato non si parla di studio, come nel caso della riforma della Curia Romana; si parla espressamente di consulenza nel governo. Quindi è stato costituito un nuovo organismo istituzionale, una specie di “Consiglio della Corona”? Se devo essere sincero, tale decisione suscita in me qualche perplessità. Non perché io sia contrario a priori a una simile eventualità (mi rendo conto che diventa sempre piú urgente adottare uno stile collegiale di governo, che a mio parere non metterebbe in alcun modo in discussione l’autorità pontificia), ma per le modalità con cui la decisione è stata annunciata e, a quanto pare, già realizzata. Personalmente, ritengo che si tratti di una questione estremamente seria e delicata, che meriterebbe un supplemento di riflessione e la cui soluzione non può essere in alcun modo frutto di improvvisazione. Ci sono molti aspetti che vanno considerati prima di procedere alla costituzione di un nuovo organismo. Io stesso faccio fatica in questo momento a metterli tutti a fuoco, ma cercherò di elencarne almeno alcuni.

Innanzi tutto, a mio modesto parere, va chiarito che cosa si intende con “governo della Chiesa universale”. Nessuno vuole mettere in discussione il primato universale del Papa; ma, come giustamente si sta insistendo sul fatto che il Papa è, in primo luogo, Vescovo di Roma, cosí penso sarebbe opportuno ricordare che nella Chiesa cattolica, accanto alla Chiesa latina, esistono numerose Chiese sui juris. Se è vero che il Romano Pontefice possiede la «potestà ordinaria su tutte le Chiese particolari e i loro raggruppamenti» (can. 333, § 1), è altrettanto vero che le modalità con cui governa la Chiesa latina (di cui è il Patriarca) sono diverse da quelle con cui esercita la potestà sulle Chiese orientali, che godono di ampia autonomia di governo. Si tratta di una realtà che non può in alcun modo essere ignorata, soprattutto in una prospettiva ecumenica. Qualcuno, giustamente, nei giorni scorsi ha parlato di ritorno alla “Pentarchia”. Perché allora non pensare alla costituzione di un “Consiglio dei Patriarchi”, che coadiuvi il Papa nel disbrigo delle questioni che riguardano tutta la Chiesa, e non soltanto la Chiesa latina?

Mi sembra assai importante la riscoperta della Chiesa latina come “Chiesa patriarcale” accanto alle Chiese patriarcali orientali, perché ciò spiegherebbe anche la pretesa della Sede Romana di intervenire in questioni che potrebbero a prima vista apparire come di competenza delle Chiese particolari (p. es., la nomina dei Vescovi). È per questo motivo che qualche anno fa accolsi con un certo scetticismo la rinuncia, da parte di Benedetto XVI, al titolo di “Patriarca dell’Occidente”). Anzi, proprio la rivalutazione dell’indole patriarcale della Chiesa latina giustificherebbe l’attribuzione di un carattere permanente al Sinodo dei Vescovi, trasformandolo in un vero e proprio “Sinodo patriarcale”. Ovviamente si dovrebbe modificare radicalmente la sua attuale fisionomia: avevo già avanzato la proposta della costituzione di un “Sinodo dei Metropoliti”, che sarebbe certamente molto rappresentativo, ma avrebbe l’inconveniente di essere troppo numeroso (oltre cinquecento Arcivescovi); se si volesse un Sinodo piú snello e, contemporaneamente, si volesse valorizzare il ruolo delle Chiese nazionali, si potrebbe pensare a un “Sinodo dei Primati”, il che ridarebbe vitalità a un’istituzione, quella primaziale, che purtroppo è praticamente scomparsa con la costituzione delle Conferenze episcopali, mentre continua a svolgere un ruolo di primaria importanza in alcune comunità non-cattoliche, come la Comunione Anglicana. Naturalmente tale “Sinodo patriarcale” — dei Metropoliti o dei Primati che sia — dovrebbe avere delle competenze specificamente indicate dal diritto e dovrebbe riunirsi periodicamente (secondo me, almeno una volta all’anno e senza tutte le lungaggini dell’attuale Sinodo dei Vescovi).

Nel mio post del 24 novembre 2010 parlavo anche di una rivalutazione del Concistoro, che già ora costituisce un organismo di aiuto “collegiale” dei Cardinali al Romano Pontefice (can. 353). Una volta stabilito un “Sinodo patriarcale”, il Concistoro non finirebbe per costituire una sorta di inutile doppione? Non credo: il Concistoro dovrebbe essere un organo di consultazione piú frequente e immediata rispetto al Sinodo; esso potrebbe essere convocato tutte le volte che se ne presentasse il bisogno. Se poi si volesse fare un paragone con la società civile, si potrebbe dire approssimativamente che il Sinodo sta alla “Camera” come il Concistoro al “Senato”.

Recentemente George Weigel ha evidenziato alcuni limiti dell’attuale composizione del Collegio cardinalizio e ha avanzato alcune proposte di riforma in proposito. Anch’io ritengo che il Collegio dei Cardinali necessiti di una profonda revisione, ma personalmente seguirei una strada diversa da quella indicata da Weigel. Secondo me, l’istituto cardinalizio si è evoluto attraverso i secoli, perdendo quasi completamente la sua fisionomia originaria: agli inizi esso si identificava praticamente con il clero dell’Urbe; oggi è diventato una specie di élite dell’episcopato mondiale. Probabilmente bisognerebbe recuperare, per quanto possibile, la sua fisionomia originaria, adattandola ovviamente alle mutate condizioni dei tempi. Innanzi tutto, andrebbero, a mio parere, abolite tutte le sedi cardinalizie: l’unica distinzione tra i Vescovi dovrebbe essere quella tra Vescovi e Arcivescovi-Metropoliti (attualmente sembra che, fra gli Arcivescovi, ce ne siano alcuni piú Arcivescovi degli altri, perché insigniti della porpora). I Cardinali non dovrebbero piú essere sparpagliati nel mondo, ma tornare a risiedere tutti a Roma o nelle vicinanze (i Vescovi suburbicari). A Roma essi dovrebbero essere realmente i collaboratori del Papa nel governo della Chiesa, con una rappresentatività ovviamente internazionale. Se si volesse ulteriormente insistere sull’internazionalità del Collegio cardinalizio, oltre ai responsabili dei dicasteri della Curia Romana, si potrebbero nominare Cardinali (Cardinali-preti, senza alcun bisogno dell’ordinazione episcopale, come era alle origini) i Rettori delle “chiese nazionali” presenti a Roma, che diventerebbero in qualche modo i rappresentanti ufficiali della loro Chiesa locale presso la Sede apostolica. In tal modo tutti i Cardinali risiederebbero a Roma, potrebbero facilmente riunirsi in Concistoro e cosí consigliare il Papa tutte le volte che ce ne fosse bisogno.

Per quanto riguarda il governo vero e proprio della Chiesa (a questo punto, della Chiesa latina, se si vuole lasciare la giusta autonomia alle altre Chiese sui juris), si dovrebbe, a mio avviso, istituzionalizzare e rendere piú regolare quanto già avviene in alcune circostanze: la riunione dei capi-dicastero della Curia Romana (i Prefetti delle Congregazioni), che diventerebbe cosí una sorta di “Consiglio dei ministri” del Papa, da riunire almeno una volta alla settimana per affrontare collegialmente tutte le questioni di maggior rilievo. All’interno di tale Consiglio un ruolo speciale, da ridefinire con precisione, dovrebbe essere svolto dal “Primo Ministro”, vale a dire dal Segretario di Stato, che, a mio parere, dovrebbe abbandonare tale titolo (attualmente privo di senso) e riassumere quello tradizionale di “Cancelliere Apostolico”.

A questo punto, con una riorganizzazione radicale del governo centrale della Chiesa (Consiglio dei Patriarchi, Consiglio dei capi-dicastero, Concistoro, Sinodo dei Metropoliti o Primati), che bisogno c’è di un ulteriore “Consiglio della Corona”, composto di alcuni Cardinali, che — con tutto il rispetto per gli interessati — pur provenendo dai diversi continenti, godono di poca o punta rappresentatività?

Le riforme vanno fatte, ma dobbiamo stare attenti a non creare enti inutili (entia non sunt multiplicanda præter necessitatem). Spesso, nell’intento encomiabile di semplificare la burocrazia, rischiamo di complicarla ulteriormente, aggiungendo burocrazia a burocrazia (si pensi a tutti gli “organismi di partecipazione” a livello diocesano e parrocchiale, istituiti dopo il Concilio). Onde evitare tale rischio, ritengo che, tra i criteri generali da seguire in queste riforme, ne vadano considerati innanzi tutto due: la valorizzazione e l’eventuale revisione degli organismi già esistenti e il recupero di istituzioni tradizionali che col tempo sono cadute in disuso. Non dimentichiamo mai che, in una prospettiva ecumenica, il riferimento alla tradizione può rivelarsi piú utile di quanto non sembri.