lunedì 20 novembre 2017

Definitività delle sentenze



La Chiesa Romana celebra oggi la memoria liturgica di San Gelasio I, Papa (secolo V). Originario dell’Africa, fu eletto al supremo pontificato nel 492. È ricordato principalmente per la ferma opposizione allo scisma acaciano e per la strenua difesa del primato della sede romana contro le pretese, civili ed ecclesiastiche, di Costantinopoli. Morí il 21 novembre del 496 e fu seppellito nella basilica vaticana. La sua celebrazione liturgica viene anticipata a oggi per la coincidenza con la memoria della Presentazione della Beata Vergine Maria. Riportiamo, per la sua attualità, un brano tratto da una lunga lettera da lui scritta ai Vescovi della Dardania (regione corrispondente all’attuale Macedonia e Serbia meridionale), con la quale dimostra che Acacio, Patriarca di Costantinopoli dal 471 al 489, era stato giustamente condannato con sentenza definitiva della Sede Apostolica.
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Occorre che voi, cominciando fin dagli Apostoli, ricordiate che i nostri padri nel Cattolicesimo, gli illuminati e dotti pontefici, man mano che sorgevano eresie raccoglievano sinodi; in quella sede stabilivano la vera dottrina e precisavano lambito della comunione cattolica e apostolica in conformità con la Scrittura e con la predicazione degli antenati. Ma volevano che la cosa finisse lì, che la si ritenesse definitiva per sempre. Né ammettevano che quanto si era deciso venisse ancora posto in discussione al sorgere di una novità qualsiasi; saggiamente prevedevano che, qualora lo si fosse permesso, nessun decreto della Chiesa contro qualsivoglia errore sarebbe restato saldo, e che, rispuntando piú volte gli stessi errori, si sarebbe stati sempre da capo.

Infatti, se vediamo che, nonostante questo carattere definitivo delle decisioni sinodali, le deviazioni già colpite riprendono lena, si levano di nuovo contro la verità e turbano le anime semplici, cosa accadrebbe se i perfidi potessero di tanto in tanto far indire un concilio? Per quanto chiara fosse la verità, mai verrebbe meno la triste fecondità dell’errore, che, pur scadendo sempre piú di prestigio, per puntiglio mai cederebbe.

I nostri ispirati predecessori, ben vedendo tutto ciò, e proprio per non offrire ai maligni opportunità di indebolire o annullare salutari provvedimenti, vigilarono che non si permettesse di togliere alcunché a quanto contro qualsiasi eresia fosse stato deciso da un sinodo riguardo alla vera dottrina e allambito della comunione cattolica e apostolica; ma ritennero che, una volta condannati e lautore di qualsiasi vaneggiamento e il suo errore, fosse sufficiente quella prima sentenza perché chi si fosse fatto maestro di errore risultasse ben identificato quanto a dottrina e a comunione.

(Lettera ai Vescovi della Dardania: Patrologia Latina, 59, 61-62 [e 77-78]; Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, 35, 370-371. Traduzione italiana: Liturgia delle ore, Proprio della Diocesi di Roma, Città del Vaticano, 1976, pp. 52-53)